CS - IMI SI CHIUDE XXVII CONGRESSO NAZIONALE

XXVII CONGRESSO NAZIONALE

TORINO, 6-8 NOVEMBRE 2021

MELANOMA, COVID NON CAMBIA LA GESTIONE DEL PAZIENTE
PER QUELLO SPESSO CRESCE LA SOPRAVVIVENZA A 5 ANNI NEI MASCHI

IMI, VINCE L’APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE CON TERAPIE ‘SU MISURA’
E DERMATOLOGI ‘SUPER ESPERTI’ GRAZIE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

 

Torino, 8 novembre 2021. Efficiente, sicura e più rapida con appena un moderato ritardo per quanto riguarda l’attesa per ottenere la visita dermatologica durante la quale è stato diagnosticato il melanoma. Il COVID-19 e il lockdown non hanno influito nella gestione del paziente dermatologico afferente ai centri IMI – Intergruppo Melanoma Italiano, presenti all’interno dei poli oncologici ospedalieri di eccellenza sparsi sul territorio italiano, anzi, sotto certi aspetti la situazione è addirittura migliorata. Non solo, durante il lungo periodo di chiusura i teleconsulti genetici sono incrementati del 34%.

È quanto emerge dal XXVII Congresso Nazionale dell’Intergruppo Melanoma Italiano in corso dal 6 all’8 novembre a Torino che ha anche tracciato lo stato dell’arte delle nuove terapie.

Nella diagnosi e cura vince sempre l’approccio multidisciplinare che vede dermatologi, oncologi, genetisti, radiologi, chirurghi e addirittura l’Intelligenza artificiale uniti per concordare la sequenza delle terapie più adatte ad ogni paziente, soprattutto nei casi di malattia avanzata. Un orientamento che ha fatto cambiare radicalmente l’approccio alla malattia, grazie alla somministrazione delle terapie adiuvanti che hanno ridotto dell’80% gli interventi sui linfonodi sentinella positivi con metastasi microscopiche, sono calate le dissezioni linfonodali inutili, mentre sono incrementate notevolmente le metastasectomie di pazienti un tempo ritenuti inoperabili.

La Survey, condotta da A.I.Ma.Me. – Associazione Italiana Malati di Melanoma e tumori della pelle, in collaborazione con IMI, ha valutato la gestione dei pazienti con melanoma diagnosticato prima dell’inizio della pandemia (entro il 1 febbraio 2020; Gruppo 1) e dopo (dal 1 febbraio 2020; Gruppo 2).

“Abbiamo voluto capire - spiega il Presidente IMI Ignazio Stanganelli Direttore della Skin Cancer Unit IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori e professore associato dell’Università di Parma - come la pandemia ha inciso sul management dei pazienti già in cura al momento dello stato di crisi dettato dal virus SARS-CoV-2 rispetto a quelli che hanno iniziato il percorso diagnostico-terapeutico durante il COVID-19.”.

 

“Una linea diretta con i malati – aggiunge Giovanna Niero, presidente A.I.Ma.Me. – che ci ha consentito di approfondire lo stato dell’arte della loro presa in carico e cura. Un riscontro quasi immediato grazie alla sponsorizzazione del questionario on line”.

 

Una stima in parte ‘oggettiva’, che ha quantificando i tempi di attesa per prime e seconde visite, diagnosi, e cure, ed in parte ‘soggettiva’, che ha esaminato il senso d’insicurezza provato durante le visite.

In tutto sono state intervistate 587 persone, divise equamente tra uomini e donne, di cui 334 appartenenti al Gruppo 1 e 252 al Gruppo 2. L’età mediana era rispettivamente 54 e 51 anni e il grado d’istruzione più frequente era il diploma di scuola superiore (45.5% e 48.0%). Simile la provenienza geografica: le regioni con più pazienti partecipanti all’indagine sono state, nello stesso ordine per i due gruppi, Emilia Romagna, Toscana, Sardegna, Lombardia e Lazio.

I motivi che hanno portato alla visita dermatologica, durante la quale è stato diagnosticato il melanoma, sono sostanzialmente gli stessi nei due gruppi: nel 42-44% si trattava di una lesione sospetta e nel 45-42% di un controllo generale dei nevi. Ci sono invece differenze, moderate, ma significative, per quanto riguarda l’attesa per ottenere la visita dermatologica nella quale è stata fatta la diagnosi di melanoma: nel Gruppo 1, l’88.0% dei pazienti ha dovuto attendere meno di 3 mesi, e soltanto il 2.7% più di 6 mesi, mentre nel Gruppo 2, queste percentuali sono rispettivamente dell’84.1% e al 7.9%.

Sotto il profilo del ‘patient management’ – afferma Saverio Caini, Dirigente medico dell’Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) - la gestione dei due gruppi non è stata particolarmente diversa e dunque non è stato rilevato un particolare deterioramento nella qualità della diagnosi e cura tra prima e dopo COVID-19. Anzi per alcuni aspetti c’è stato perfino un miglioramento.

In particolare, il tempo di attesa per l’asportazione del melanoma è stato inferiore di 15 giorni più frequentemente nel Gruppo 2 (42.5%) rispetto al Gruppo 1 (35.9%), e anche il referto istologico è stato consegnato con maggior celerità durante il COVID-19. La percentuale dei pazienti con tempo di attesa di consegna del referto inferiore a 15 giorni era rispettivamente 51.6% e 46.4% nei Gruppi 2 e 1.

Una gestione del paziente che per quanto riguarda la diagnosi e cura vede più che mai vincente l’approccio multidisciplinare, del quale IMI è punto di riferimento nel panorama scientifico nazionale e internazionale. In particolare, la terapia adiuvante ha cambiato il modo di operare il melanoma spesso e il carcinoma squamocellulare avanzato.

Oggi – dichiara Patuzzo chirurgo presso il Reparto Melanoma e Sarcoma dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano - oltre ad operare come sempre il primo, il secondo e, soprattutto, il terzo stadio di malattia, interveniamo anche sul quarto stadio e sulle metastasi perché eliminandoli chirurgicamente e somministrando poi al paziente terapie mirate lo rendiamo di nuovo libero dalla malattia”.

 

“In pratica – evidenzia Pietro Quaglino, Professore associato di Clinica Dermatologica dell’Università di Torinola chirurgia è ‘disegnata’ sul paziente e anche se non è più la prima scelta è un tassello fondamentale del percorso di cura multidisciplinare”.

Cambia poi anche l’approccio chirurgico del non melanoma, in particolare del carcinoma squamocellulare avanzato.

 

“Nel 50% dei pazienti – sottolinea Caracò, responsabile della Chirurgia del Melanoma e tumori cutanei all’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale di Napoli - l’immunoterapia dà risultati importanti riducendo le dimensioni del tumore e rendendolo circoscritto e operabile. Un successo che si traduce in un aumento della sopravvivenza e della qualità di vita di questi pazienti. Tuttavia, tutto questo funziona se il malato oncologico di stadio avanzato viene preso in carico in centri nei quali esiste un team multidisciplinari, dove il dermatologo, l’anatomopatologo, l’oncologo, il radiologo, il genetista e il chirurgo si confrontano stabilendo il percorso terapeutico migliore. Ora le carte da giocare le abbiamo, ma se le usiamo male la partita è persa.”

Grazie ai nuovi farmaci, dal 2013, in Italia, si è registrato un significativo miglioramento della sopravvivenza a 5 anni nei maschi con melanoma di spessore massimo (> 4.00 mm).

Un successo, osservato per la prima volta in assoluto in Italia e in Europa a livello di popolazione generale. I dati di uno studio congiunto dell’AIRTUM, l’Associazione dei Registri Tumori italiani, coordinato dal Registro Tumori della Romagna e sostenuto da finanziamenti di IMI – Intergruppo Melanoma Italiano e del Ministero della Salute, sono stati presentati in anteprima al Congresso nazionale IMI. La ricerca ha vinto il prestigioso Elvo Tempia Special Prize 2021, per i progressi di scienza e medicina nella conoscenza del cancro, assegnato alla giovane ricercatrice italiana Federica Zamagni biostatistica dell’IRST Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori, durante il convegno annuale dell’International Association of Cancer Register (IACR).

Lo studio – spiega Emanuele Crocetti, Consulente dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) IRCCS - ha confermato che, in entrambi i sessi, lo spessore mediano dei melanomi registrati nel periodo 2003-2017 ha continuato a diminuire e che, parallelamente, la sopravvivenza dei pazienti ha continuato a migliorare. Tuttavia, la sopravvivenza a 5 anni è aumentata in modo particolare per gli uomini: passando dall’87% tra il 2003 e il 2007, al 93% tra il 2013 e il 2017, raggiungendo per la prima volta in Italia, la sopravvivenza delle donne. Tutto ciò nonostante il fatto che gli uomini continuino ad avere melanomi più spessi.”

“In particolare – continua Lauro Bucchi epidemiologo dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) IRCCS - il miglioramento della sopravvivenza è stato più forte per gli uomini con melanomi di spessore massimo, per i quali la sopravvivenza a 5 anni è passata dal 48%, nel periodo 2003-2007, al 61% tra il 2013 e il 2017. Un valore nettamente più alto di quello delle donne, ferme al 52%. Questo miglioramento non può avere nulla a che fare con la diagnosi precoce. Dimostrare che una novità terapeutica in ambito oncologico si trasferisce nel mondo reale e ha degli effetti misurabili sulla popolazione generale - conclude Bucchi - è un evento infrequente.

 

In aiuto alla diagnostica precoce arriva poi l’intelligenza artificiale. “L’obiettivo - sottolinea Luigi Naldi, Presidente Gised e Direttore della Unità operativa complessa di dermatologia dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza è stabilire, grazie a parametri di elaborazione avanzati e l’apprendimento profondo del sistema operativo, se un neo è ‘non sospetto’, ‘sospetto’, ‘altamente sospetto’ o ‘non valutabile.’”

Uno strumento di prevenzione secondaria che potrebbe fare la differenza. “In quest’ottica – afferma Stanganellicambia anche il ruolo del dermatologo, che sfruttando le competenze l’intelligenza artificiale, da ‘esperto’ diventerà un ‘super esperto’, consentendo di diagnosticare questo tumore della pelle molto aggressivo in fase precoce”.

Una realtà che però ha limitazioni di validazione tecnologica e, per quanto riguarda l’Italia, ha ancora dei forti vincoli normativi ed economici, mentre è già operativa con eccellenti risultati sia la telepatologia che la patologia computazionale.

 

Nel primo caso - dichiara Daniela Massi, membro del Consiglio Direttivo di IMI e Direttore del servizio di anatomia patologica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi - si consente ai patologi di potersi confrontare in tempo reale con altri specialisti di tutto il mondo prima di emettere una difficile diagnosi fornendo rapidamente consulenze di alta qualità a distanza, nel secondo, per mezzo della quantificazione automatizzata, è possibile giungere a diagnosi più precise e standardizzate, riducendo il margine di errore.”

 

E proprio dal teleconsulto genetico, che durante il lockdown ha aumentato del 34% le afferenze al servizio, che provengono i dati di un altro studio presentato in anteprima che definisce, a livello nazionale per confluire poi in un’analisi in corso a livello internazionale, quali siano i geni da analizzare in caso di familiarità o melanomi multipli, come individuare i pazienti da sottoporre al test e i protocolli di sorveglianza da far seguire.

 

“A partire dal 2016 – dice Paola Ghiorzo, Direttore dell’unità Genetica dei Tumori Rari dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e Professore ordinario di biologia e genetica all’Università di Genovaabbiamo analizzato, in condivisione e grazie anche al teleconsulto IMI, le mutazioni germinali di un gruppo geni che includeva CDKN2A, CDK4, BAP1, POT1, ACD, TERF2IP, MITF, ATM. Gli esami hanno coinvolto 879 nuclei familiari di pazienti con melanoma provenienti da 25 diversi centri italiani e ci hanno dato un quadro delle mutazioni genetiche a livello nazionale in rapporto con l’incremento dei casi di melanoma. I nostri dati suggeriscono di evitare i test genetici quando l’età della prima diagnosi è superiore ai 60 anni.”

Al contrario, sotto i 60 anni e, soprattutto, tra i più giovani (40-50 anni), lo studio ha evidenziato un calo delle percentuali di pazienti con il gene ‘storico’ BRAF mutato e il raddoppio di quelli che avevano i geni mutati individuati più recentemente.

Dati che suggeriscono la necessità di rimodulare l’accesso ai centri, ai test genetici e ai protocolli di screening e sorveglianza non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, in modo da focalizzare le energie, sia in termini di personale medico sia di spese e coinvolgimento psicologico dei pazienti, dove sono realmente necessarie.

L’appello che lanciamo come IMI – conclude il Presidente IMI Ignazio Stanganelli Direttore della Skin Cancer Unit IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori e professore associato dell’Università di Parma - è incrementare i centri di eccellenza oncologica in cui gli specialisti si confrontino e seguano le indicazioni dettate a livello internazionale.

Ufficio Stampa IMI – Intergruppo Melanoma Italiano

Giulia Pigliucci - Tel. 3356157253 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.