BIOPSIA
I pazienti che presentano una lesione sospetta saranno sottoposti a biopsia, che dovrebbe essere, preferenzialmente, di tipo escissionale completa con margini in tessuto sano di 1-2 mm. Tali caratteristiche permettono un’analisi istopatologica adeguata oltre ad una possibile guarigione con esito cicatriziale minimo senza compromettere la possibilità di una successiva radicalizzazione se necessaria. Questo tipo di biopsia permette la corretta stadiazione locale della malattia senza interferire sulla successiva terapia locale.
La biopsia escissionale può essere inappropriata in alcune sedi (volto, palmo delle mani, pianta dei piedi, orecchio, ecc.) o per lesioni molto estese (tipo lentigo maligna). In queste situazioni, e solo in queste, potrebbe essere preferibile impiegare una tecnica di tipo incisionale o “punch biopsy”.
DIAGNOSI CLINICO-PATOLOGICA
I melanomi sono classificati in base ad alcune caratteristiche cliniche ed isto-patologiche:
• Melanoma a diffusione superficiale. È il sottotipo di melanoma più frequente ed è caratterizzato da una lesione pigmentata, asimmetrica a margini irregolari spesso con aree di pigmentazione differente. Può essere notata dal paziente come area pigmentata che muta nella forma, dimensioni, spesso con zone di sanguinamento o formazione di croste alternate a regioni infiammatorie. Generalmente il cambiamento avviene da pochi mesi ad anni.
• Melanoma nodulare. E’ il secondo sottotipo di melanoma in ordine di frequenza ed è caratterizzato da una lesione pigmentata rilevata a rapida crescita (anche di poche settimane), spesso accompagnata da ulcerazione e sanguinamento.
• Lentigo maligna melanoma. Questa lesione pigmentata a margini irregolari di aspetto piano, si accresce generalmente nelle aree fotoesposte del volto e del collo ed ha una chiara relazione all’esposizione al sole. L’accrescimento è generalmente lento, con fase iniziale di melanoma in situ di lunga durata prima di progredire a melanoma invasivo.
• Melanoma acrale-lentigginoso. Lesione pigmentata piuttosto rara che si presenta a livello del palmo delle mani/pianta dei piedi o nel letto ungueale.
• Melanoma desmoplastico. Variante rara di melanoma che insorge più frequentemente a livello di sedi foto-esposte e che si manifesta come lesione pigmentata o amelanotica palpabile, di consistenza aumentata e a margini poco definiti.
• Melanoma nevoide. Lesione pigmentata papulo-nodulare, talora verrucosa, a margini netti, che simula clinicamente e istopatologicamente, un nevo comune.
Il referto istopatologico di ciascun melanoma invasivo dovrebbe sempre contenere le seguenti informazioni:
• Fase di crescita. La fase radiale è caratterizzata da proliferazione di melanociti nell’epidermide e/o nel derma papillare, senza formazione di lesione tumorale. La fase di crescita verticale è la fase tumorigenica nella quale il melanoma è caratterizzata morfologicamente dalla presenza di lesione espansiva e/o dalla presenza di figure mitotiche nella componente invasiva.
• Spessore della lesione (di Breslow). Lo spessore secondo Breslow viene misurato in verticale, fino al punto di massima infiltrazione.
• Ulcerazione. La presenza di ulcerazione e la sua estensione (misurata sia come diametro che come percentuale rispetto all’ampiezza del tumore) deve essere valutata al microscopio.
• Indice mitotico. Il numero di mitosi (calcolata per mm2) va indicato anche nei melanomi considerati a basso rischio (<0,8 mm di spessore).
• Linfociti infiltranti il tumore (TILs). La presenza di TILs sembra essere associata statisticamente ad una prognosi più favorevole, indipendentemente dal tipo di mutazione presente.
• Regressione. E’ dibattuto se la presenza di fenomeni di regressione nei melanomi in fase di crescita radiale influenzi negativamente la prognosi. Tuttavia, la presenza di estesi fenomeni di regressione potrebbe determinare una sottostadiazione del tumore primitivo. Nel caso in cui gli estesi fenomeni di regressione siano associati ad una residua componente di melanoma intraepidermico, il referto anatomo-patologico dovrebbe indicare esplicitamente “Melanoma con estesi fenomeni di regressione e residua componente di melanoma in situ”.
• Infiltrazione linfovascolare e microsatellitosi. L’identificazione di presenza di microsatelliti ed invasione linfovascolare sembra essere correlata con il rischio di ricaduta a livello cutaneo (metastasi in transit) che di coinvolgimento linfonodale locale.
DIAGNOSI MOLECOLARE
Attualmente, è assolutamente necessaria la “classificazione molecolare” di ciascun melanoma, attraverso la conoscenza di alterazioni geniche coinvolte nella patogenesi, al fine di identificare sottogruppi di pazienti che potenzialmente possano beneficiare di comuni strategie terapeutiche:
• Mutazioni del gene BRAF. Circa il 50% dei melanomi presenta mutazioni del gene BRAF; esse sono distribuite in maniera differente nei diversi sottotipi clinici di melanoma. I melanomi insorti in aree cutanee non esposte cronicamente al sole presentano la più alta frequenza (50-55%) di mutazioni nel gene BRAF, se paragonata a quella osservata nei melanomi su cute cronicamente esposta al sole (5-10%), nei melanomi acrali (15-20%) o nei melanomi delle mucose (3-5%). I melanomi associati alla mutazione BRAF-V600E si manifestano in età più giovanile (<55 anni), in pazienti con elevato numero di nevi melanocitici ed in sedi sottoposte ad esposizione solare intermittente, quali tronco ed arti. La mutazione BRAF-V600K è invece più frequente nei melanomi insorti in età più avanzata, nei pazienti con prevalente localizzazione nella regione testa-collo ed in associazione ad esposizione solare cronica. I pazienti con melanoma avanzato (inoperabile o metastatico) mutato nel gene BRAF sono altamente responsivi al trattamento con la combinazione di inibitori di BRAF-mutato ed inibitori di MEK.
• Mutazioni del gene NRAS. Esse si osservano nel circa il 15-20% dei melanomi. I primi studi hanno dimostrato una limitata efficacia terapeutica degli inibitori di MEK in pazienti con melanoma mutato nel gene NRAS.
• Mutazioni del gene c-KIT. Esse si osservano nell’1-3% dei melanomi, con maggiore frequenza nei melanomi mucosali (20%), nei melanomi acrali-lentigginosi (15%) e nei melanomi su cute cronicamente fotoesposta (3%), risultando pressoché assenti nei melanomi in aree cutanee non esposte cronicamente al sole. I pazienti con melanoma avanzato mutato nel gene c-KIT sono responsivi agli inibitori di KIT (imatinib, nilotinib).
CHIRURGIA DEL MELANOMA PRIMITIVO
La chirurgia escissionale è il trattamento primario per il melanoma. La misura dei margini liberi dipende dallo spessore del melanoma.
Margini di allargamento raccomandati:
- melanoma in situ: 5 mm
- melanoma con spessore fino a 2 mm: 1 cm
- melanoma con spessore > 2,00 mm: 2 cm
Può essere giustificato un’escissione con margini meno estesi in caso di grave compromissione estetico-funzionale, sottoponendo il paziente ad uno stretto monitoraggio post-chirurgico.
Una menzione a parte spetta alla gestione chirurgica della lentigo maligna (variante di melanoma in situ a lento decorso, che colpisce maggiormente con estese lesioni il volto degli anziani). Il trattamento è legato alle fasce d'età: al di sotto dei 60 anni è maggiormente preferito il trattamento chirurgico delle lesioni, con resezione chirurgica completa e meticoloso controllo dei margini; nei pazienti al di sopra di 70 anni sono invece maggiormente utilizzate opzioni non chirurgiche quali l'imiquimod topico e la radioterapia.
CHIRURGIA DEI LINFONODI
La ricerca del linfonodo sentinella è un momento fondamentale per la stadiazione chirurgica del melanoma. Il rischio di coinvolgimento linfonodale è direttamente proporzionale allo spessore del melanoma o alla presenza di mitosi: in un melanoma con spessore <1 mm i secondarismi a tale livello sono rari, mentre per melanomi con spessore compreso tra 1,5 e 4 mm tale coinvolgimento è verificato nel 25% dei casi ed aumenta fino al 60% per melanomi con spessore superiore a 4 mm.
Nei pazienti con melanoma pT1b, pT2, pT3, pT4 la biopsia del linfonodo sentinella deve essere considerata come prima opzione. Nei pazienti con melanoma pT1a e con regressione >75% può essere consigliata la biopsia del linfonodo sentinella.
La ricerca del linfonodo sentinella può essere eseguita anche in corso di gravidanza (dopo il terzo mese di gravidanza e senza colorante vitale). Nei pazienti con diagnosi di tumore di Spitz atipico la biopsia del linfonodo sentinella non dovrebbe essere presa in considerazione.
Nella refertazione devono essere riportati il numero di linfonodi sentinella esaminati, il numero di linfonodi positivi e la tipologia di positività (micro- o macrometastasi).
Nei pazienti con linfonodo sentinella istologicamente positivo la dissezione linfonodale di completamento può essere presa in considerazione come opzione di prima intenzione. La dissezione linfonodale completa, se tecnicamente radicale, è indicata in caso di metastasi ai linfonodi regionali clinicamente evidenti (esame obiettivo/ ecografia/ TAC, confermate da prelievo citologico o bioptico). Per i pazienti in stadio III è indicata la dissezione linfonodale completa indipendentemente dal tipo di metastasi presenti nel linfonodo sentinella. In caso di metastasi linfonodali clinicamente evidenti è consigliabile la valutazione dello stato mutazionale di BRAF.
TERAPIA ADIUVANTE
Nei pazienti affetti da melanoma stadi IIC-III l’interferone a basse od alte dosi può essere utilizzato come trattamento adiuvante, in attesa della possibilità di accesso a terapie innovative [immunoterapici, farmaci a bersaglio molecolare (inibitori di BRAF-mutato e di MEK) e vaccinoterapia].
Pazienti con melanoma in stadio III e ad elevato rischio di ricaduta linfonodale nonché i pazienti con melanoma del distretto cervico-facciale non dovrebbero ricevere radioterapia adiuvante, benché possa essere discussa in casi selezionati.
TRATTAMENTO DELLA MALATTIA AVANZATA: CHIRURGIA
La chirurgia del IV stadio può essere riservata come opzione terapeutica di scelta in pazienti che hanno una singola o poche metastasi a livello dei tessuti molli e/o linfonodi distanti; in questi casi è stato riportato un vantaggio in termini di sopravvivenza globale rispetto ai controlli non operati in era pre-terapie biologiche. Quando possibile va sempre valutata la presenza di mutazioni nei geni BRAF, NRAS e/o c-KIT.
In caso di metastasi cutanee multiple oppure inoperabili, l’elettrochemioterapia è una opzione terapeutica. La chirurgia palliativa trova indicazione nelle lesioni emorragiche gastroenteriche o con rischio di perforazione o di occlusione, in considerazione anche delle nuove opportunità di trattamento sistemico che favoriscono l’integrazione fra le diverse strategie terapeutiche laddove i possibili benefici sopravanzino i rischi chirurgici.
TRATTAMENTO DELLA MALATTIA AVANZATA: TERAPIA SISTEMICA
Fino a poco tempo fa lo scopo del trattamento della malattia metastatica non operabile poteva considerarsi quasi esclusivamente palliativo, dal momento che i chemioterapici a disposizione hanno dimostrato nel corso degli anni un effetto limitato e scarsamente curativo nella maggior parte dei casi. Negli ultimi anni il progressivo affermarsi di nuovi farmaci ha permesso di osservare dei vantaggi in termini di sopravvivenza, come nel caso dell’ipilimumab, dei farmaci anti PD1 o dei farmaci BRAF e MEK inibitori. Tuttavia, quando possibile, i pazienti con melanoma metastatico dovrebbero essere inseriti in studi clinici.
Immunoterapia
Negli ultimi anni l’introduzione dei farmaci inibitori dei checkpoint immunologici ha rappresentato una svolta molto importante nell’immunoterapia del melanoma.
Il primo farmaco che si è reso disponibile in clinica è stato l’ipilimumab. Quest’ultimo è un anticorpo monoclonale diretto contro il recettore CTLA-4, presente sui linfociti T attivati e che regola normalmente la risposta immunitaria. Il legame dell’anticorpo anti-CTLA-4 alla suddetta molecola, impedisce l’innesco del segnale negativo che si traduce in un potenziamento delle difese immunitarie. L’ipilimumab, eliminando un freno inibitore alla risposta immunitaria, che peraltro contribuisce allo stabilirsi della tolleranza immunogenica, è associato al rischio di effetti collaterali correlati all’attivazione del sistema immunitario.
Più recentemente sono stati introdotti in clinica i farmaci inibitori di PD-1 (nivolumab e pembrolizumab) che nel corso del 2016 hanno ottenuto la rimborsabilità dell’AIFA nel trattamento del melanoma avanzato (stadio III non resecabile o IV). Entrambi, nivolumab e pembrolizumab, hanno dimostrato efficacia nel trattamento del melanoma avanzato, con una sopravvivenza globale a due anni pari al 55% circa dei casi trattati. Recenti studi hanno dimostrato attività ed efficacia della combinazione di anti-CTLA-4 e anti-PD-1.
Il trattamento con farmaci anti PD-1 (pembrolizumab e nivolumab) presenta un profilo di tollerabilità accettabile, migliore rispetto ad ipilimumab e nettamente diverso dal trattamento chemioterapico. In genere la maggior parte degli eventi avversi sono di tipo immunomediato, gestibili con terapia sintomatica o immunomodulante (es. steroidi) a seconda del grado e della durata dell’evento. E’ basso il tasso di interruzione del trattamento con anti-PD-1 per tossicità (range negli studi esaminati del 3-8%).
Considerato il beneficio in sopravvivenza e il profilo di tollerabilità, il bilancio rischio/beneficio del trattamento con anti PD-1 rispetto a ipilimumab o chemioterapia è favorevole. Pertanto, nei pazienti con melanoma in stadio IIIC non operabile o stadio IV, in cui è indicata immunoterapia, il trattamento con anti PD-1 dovrebbe essere preso in considerazione come opzione di prima scelta.
Terapie a bersaglio molecolare
Attualmente, tre inibitori di BRAF-mutato (vemurafenib, dabrafenib, encorafenib) e tre inibitori di MEK (cobimetinib, trametinib, binimetinib) hanno dimostrato una spiccata efficacia antitumorale nei melanomi che presentano specificamente la mutazione BRAF-V600, mentre non hanno nessun effetto sui melanomi non mutati nel gene BRAF. In questi anno, è stato ampiamente dimostrato che il trattamento con BRAF-mutato inibitore + MEK inibitore è significativamente superiore in termini di efficacia e attività rispetto al trattamento con BRAF-mutato inibitore agente singolo. Il trattamento di combinazione è anche associato a un minor rischio di tossicità cutanee.
Nel caso di melanomi delle mucose, delle estremità (acrali), e delle aree esposte cronicamente al sole (lentiginosi), è stata dimostrata la presenza di mutazioni del gene c-KIT che predispongono alla risposta al trattamento con c-KIT inibitori (imatinib, nilotinib).
Attualmente la disponibilità della immunoterapia e della terapia a bersaglio molecolare nel caso di melanomi con mutazione del gene BRAF apre nuove potenzialità di cura in uno scenario molto complesso che richiede uleriori studi. In particolare, sono in corso studi che valutano la combinazione delle terapie, la loro sequenza o l’integrazione con altri trattamenti disponibili (es. radioterapia).
Nella pratica clinica, la scelta del trattamento dipende dalla estensione di malattia, dalla necessità o meno di una rapida risposta obiettiva, dalla possibilità di ottenere risposte durevoli, da eventuali co-morbilità, nonché dalle preferenze del paziente. Anche la rivalutazione della malattia dovrà tener conto della tipologia delle risposte osservate in corso di immunoterapia rispetto alla terapia target e/o alla chemioterapia, ciò ovviamente in relazione al differente meccanismo d’azione delle diverse strategia terapeutiche. L’utilizzo degli anticorpi immunomodulanti in particolare ipilimumab, ha dimostrato che in corso di immunoterapia è possibile osservare risposte non convenzionali, caratterizzate da un iniziale aumento del carico tumorale o comparsa di lesioni, con successiva risposta tardiva e duratura. Ciò ha spinto i ricercatori a formulare dei criteri di risposta specifici per gli agenti immunoterapici (164). Questi criteri per la valutazione della risposta, sviluppati principalmente negli studi con ipilimumab, potrebbero essere applicati anche ai trattamenti con anti-PD-1, seppure il tasso di risposte non convenzionali siano osservate con minor frequenza e gli studi condotti con questi farmaci abbiano maggiormente utilizzato i criteri classici RECIST. Qualora alla prima rivalutazione strumentale della malattia si sospettasse una pseudo-progressione, la progressione dovrebbe essere confermata dopo circa 4 settimane.
Chemioterapia
Il trattamento con chemioterapia trova oggi indicazione dopo trattamento con farmaci BRAF e MEK inibitori (nella popolazione con mutazione BRAF V600) o con immunoterapia, oppure nelle condizioni in cui queste terapie siano controindicate. Le opzioni di trattamento prevedono l’utilizzo di dacarbazina, temozolomide o fotemustina e solo in casi selezionati, di regimi polichemioterapici o biochemioterapici.
Radioterapia sulle metastasi a distanza
In pazienti con metastasi cerebrali multipli, il trattamento radiante pan-encefalico a dosi convenzionali è considerato una opzione terapeutica in grado di palliare i sintomi, anche se non modifica la sopravvivenza globale dei pazienti. L’aggiunta di temozolamide alla radioterapia pan-encefalica non garantisce un vantaggio in termini di sopravvivenza. Le nuove tecniche di radioterapia stereotassica/radiochirurgia, in pazienti con un numero contenuto di lesioni encefaliche (≤4), diametro ≤ 3-4 cm e con malattia extracranica stabile, possono essere considerate un’alternativa al trattamento radioterapico standard. La radioterapia panencefalica dovrebbe essere presa in considerazione nei pazienti con lesioni cerebrali multiple non operabili o per i quali non sia indicato un trattamento radiochirurgico stereotassico. Nei pazienti con melanoma oligometastatico e asintomatici per lesioni encefaliche, può essere indicata l'integrazione di radioterapia stereotassica con anti-PD-1. Nei pazienti con metastasi encefaliche e con mutazione BRAF V600 può essere preso in considerazione il trattamento con target therapy.
Il trattamento radiante è consigliato, inoltre, in presenza di lesioni ossee sintomatiche (soprattutto vertebrali) o a rischio di frattura. Oltre che nelle lesioni encefaliche ed ossee la radioterapia può essere impiegata a scopo palliativo sintomatico e/o per aumentare il controllo locale su diverse localizzazioni secondarie come: linfonodali addominali/pelviche/mediastiniche che possono provocare dolore da compressione o stasi linfatica, lesioni polmonari, lesioni cutanee-sottocutanee ulcerate sanguinanti.
TRATTAMENTO DELLE RECIDIVE
Per i pazienti che si presentano con un primo episodio singolo di secondarismo cutaneo in transit o satellitosi si dovrebbe eseguire una resezione chirurgica con margini istologicamente liberi. Nei pazienti in cui viene asportato un secondarismo cutaneo in transit dovrebbe essere considerata l’opzione della tecnica del linfonodo sentinella essendo elevata la probabilità di presenza di secondarismi linfonodali occulti.
Nelle recidive linfonodali, se operabili, l'escissione chirurgica resta il trattamento di scelta. In lesioni inoperabili sono indicate le terapie locoregionali (elettrochemioterapia, radioterapia) e/o quella sistemica (clinical trial, immunoterapia, target therapy o chemioterapia).